Il mondo dei social dà sempre più voce agli atleti professionistici, da Lebron James che si interessa a questioni politiche e sociali, a chi invece condivide le attività svolte nel tempo libero. I social vengono usati in molti altri modi dalle “superstar” che spesso si trovano in situazioni di disagio per sé stessi, per la loro reputation e per le loro società/ leghe.
Ci sono stati svariati casi, come Neymar, che lo scorso anno, per errore, ha mostrato il numero telefonico del suo connazionale, Richarlison, durante una diretta Twitch con circa 200.000 persone connesse, o la stella NBA D’Angelo Russell, che nel 2016 ha condiviso su Snapchat il suo compagno di squadra Nick Young mentre confessava un tradimento.
Nel primo caso, Neymar ha “soltanto” subito un ban da parte di Twitch, mentre nel secondo, D’Angelo è stato progressivamente isolato dal resto del gruppo fino a essere scambiato dai Los Angeles Lakers ai Brooklyn Nets.

Recentemente si è verificato il grave caso di Meyers Leonard, giocatore NBA dei Miami Heat, che durante una diretta su Twitch, nella quale giocava a Warzone, ha usato l’insulto antisemita “kike” e questo ha portato a gravissime conseguenze.
Fin da subito, i Miami Heat e l’NBA si sono mosse sospendendo il giocatore e multandolo per 50.000 dollari. La lega non ha permesso a Meyers Leonard di accedere alle sue strutture di allenamento per una settimana e ha imposto che frequentasse un programma che promuove la diversità culturale.
Gli atleti, tramite le nuove piattaforme di comunicazione, sono sottoposti a una visibilità quasi costante, certo, per scelta, ma non sempre capendone i rischi per sé stessi e per le loro società.
È sempre più palese la necessità di indirizzare questi atleti verso un uso maggiormente consapevole dei mezzi di comunicazione a loro disposizione, senza però privarli della loro libertà di poter trasmettere in streaming il tempo che passano con i loro amici, o di farsi conoscere anche per questioni extra sportive. Chi può stabilire il limite entro quale muoversi, e quanto sarebbe giusto stabilirlo?

C’è bisogno di tutelare gli atleti e allo stesso tempo tutelare le società/leghe che possono essere esposte a gravi ripercussioni mediatiche, senza la possibilità di fare molto per impedirlo.
E voi cosa ne pensate? Vi vengono in mente altri casi simili?
Gianluca Giovannone